Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta – Pesaro

Piazza Collenuccio, 15 – 61121 Pesaro
Telefono e Fax: 0721 33113
e-mail: cattedralepesaro@gmail.com
sito: www.domuspesaro.it

Consacrata: 1903
Festa del titolare: 15 Agosto
Persone n.: 2060
Parroco: Sac. Stefano Brizi
Vicari parrocchiali: Sac. Roberto Sarti | Sac. Giuseppe Leone
Aiuto Pastorale: Sac. Giovanni Paolini | Sac. George Sinoj |

Diacono: Giorgio Sani

Santa Maria Assunta - Basilica Cattedrale

La Cattedrale di Pesaro e sua Parrocchia

La chiesa, sita al centro della città, sul decumano, divenuta poi cattedrale, è attualmente intitolata a Santa Maria Assunta, ma antecedentemente era stata intitolata a S. Terenzio, nostro Vescovo e Patrono, del quale qui e fin dai primissimi tempi furono raccolte e conservate le reliquie. (Cfr.: A. Olivieri, Di S. Terenzio Martire Principale Protettore della città di Pesaro, Ed. Gavelli, Pesaro, 1776). Si tramandò che fosse stata eretta dal Vescovo Fiorenzo (251 d. C.- ?) verso la metà del secolo III sul palazzo della Matrona Teodosia, ma, come si deduce dalle strutture e pavimentazioni musive a strati sovrapposti di mirabile bellezza risalenti al IV secolo il più antico ed ai secoli VI-XII il superiore, è da ritenere che sia stata composta su un preesistente tempio pagano, che con la diffusione del Cristianesimo era andato in disuso e praticamente abbandonato. Questa chiesa non fu probabilmente la prima cattedrale della città, perché nei primi secoli ebbe questo titolo la basilica di S. Decenzio extra moenia, attuale chiesa cimiteriale, ma tra la fine del VI secolo e l’inizio del VII, a causa delle incursioni barbariche, fu necessario il trasferimento della sede episcopale all’interno della città e, ovviamente fu scelta la chiesa più prestigiosa, la chiesa di S. Terenzio. Non sappiamo esattamente quando questa fu eretta a parrocchia, ma certamente fu la prima parrocchia diocesana che, dal IV secolo godeva anche di un Battistero. Ricordiamo solo per cenni le ricostruzioni di tale edificio sacro, prima in seguito ad un furioso terremoto del 751, poi nel secolo IX dopo l’incendio effettuato dai saraceni nell’848, quindi tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo ed infine ci fu la radicale ricostruzione voluta dal Vescovo Clemente Fares (1856-1896) e completata con la consacrazione del 1903 per mano del Vescovo Carlo Bonaiuti. Poiché la Parrocchia Cattedrale era unita al Capitolo, con il parroco che di questa istituzione era “membro di diritto”, per necessità logiche fu resa distinta dal Vescovo Gaetano Michetti con decreto del 1° febbraio 1974, in esecuzione delle disposizioni della Lettera Apostolica 6.8.1966 “Ecclesiae Sanctae” ed in conformità a questa la parrocchia è anche distaccata dal Canonicato di San Mattia Apostolo e conserva sede e confini preesistenti. Nelle Bolle di erezione, fu precisato che all’abitazione del parroco e del viceparroco avrebbe dovuto provvedere l’Ordinario Diocesano, impegnandosi per sé e per i suoi successori senza aggravio per la Mensa Vescovile. Il riconoscimento civile è stato accordato con decreto del Presidente della Repubblica in data 22 gennaio 1976. La Parrocchia dal 2000 fa parte dell’Unità Pastorale del centro storico comprendente anche le parrocchie di S. Giuseppe e Santi Giacomo e Lucia, allargata, in data 18.10.2016, con l’inserimento delle parrocchie di S. Agostino e dei SS. Cassiano ed Eracliano. Tra i Parroci più rinomati degli ultimi tempi ricordiamo Mons. Secondo Mosca (dal 1929 al 1985), don Corrado Vagnini (1985-1998), don Gino Rossini (1998-2015). Ora, dal 2015, Parroco di tutta l’Unità Pastorale del centro storico è don Stefano Brizi che si avvale di diversi Sacerdoti coadiutori.

(a cura del prof. Dante Simoncelli)

Facciata

La facciata in paramento laterizio, risalente alla riedificazione di epoca medievale (1282-1312) conserva l’impianto della basilica di età romanica, con il rosone, gli spioventi successivamente tamponanti con l’innalzamento delle navate laterali, gli archetti pensili del coronamento di falda del tetto e la fascia marcapiano mediana con la successione di archi ogivali. Il portale, fiancheggiato da due lesene in pietra d’Istria, è goticheggiante e caratterizzato dall’arco a sesto acuto, con cornice interna trilobata e leggera strombatura; ai lati sono visibili due leoni stilofori, che probabilmente un tempo, sorreggevano le colonne di un pulpito interno della chiesa (fig. 1).

Interno

Frutto dei lavori operati dal fermano Giovambattista Carducci e dal bolognese Luigi Gulli, presenta una struttura di impianto ottocentesco in maturo stile neoclassico, notevolmente contrastante con l’aspetto della facciata romanico-gotica. La pianta ricalca quella della basilica paleocristiana a croce latina, con tre navate suddivise da nove massicci pilastri in laterizio, che sostengono il soffitto sul quale si apre un’ampia cupola decorata a finti cassettoni, all’incrocio della navata centrale con il transetto (fig. 2). La visita alla cattedrale può iniziare dalla navata destra dove, sul primo spazio della parete troviamo un affresco strappato, databile alla prima metà del XV sec. e proveniente dall’antica chiesetta della Confraternita della Misericordia, opera di un autore marchigiano educato alla cultura tardogotica di matrice adriatica. Raffigura appunto la Madonna della Misericordia e il Padre Eterno benedicente (fig. 3), con il coronamento di due angeli che accompagnano il soggetto principale e in basso i membri della stessa confraternita e i rappresentanti della città. Nel primo altare di destra è un pregevole olio su tela rappresentante San Girolamo in meditazione nel deserto del pittore baroccesco Antonio Cimatori detto il Visaccio (Urbino 1550-Rimini 1623). Successivamente si incontra la Cappella di San Terenzio, progettata dal Carducci e inaugurata nel 1909, anno in cui vi furono trasferite le reliquie del santo che prima si trovavano riposte sotto l’altare maggiore. Sull’altare della cappella è una pregevole Annunciazione di scuola umbro-fiorentina, opera del 1510 attribuita a Luca Frosino (fig. 4), mentre negli spazi concavi delle pareti laterali figurano le tavole con le icone di San Terenzio, San Decenzio e  San Germano, opere dell’artista contemporanea Francesca Pari (2015?). Uscendo dalla cappella, sul secondo altare di destra, si conserva un piccolo affresco trecentesco raffigurante la Madonna del Popolo, una delle immagini più venerate di Pesaro, proveniente dall’esterno della chiesa dell’Annunziata da cui venne staccato nel ‘500 (fig. 5). In fondo alla navata destra, salendo i gradini ci troviamo di fronte ad un dipinto del 1635 di Giovan Giacomo Pandolfi (Pesaro 1567-post 1636), la Madonna del Popolo con San Luca e la Beata Michelina, una tela fatta realizzare per ospitare originariamente l’antica icona devozionale, oggi presente sull’altare precedentemente illustrato. A destra si entra nella Cappella del Crocifisso, così denominata per la presenza del pregevole e miracoloso Crocifisso ligneo del XV sec. che vi campeggia, opera di autore ignoto ma secondo la tradizione donato da Bernardino da Siena alla Beata Felice Meda di Pesaro di cui nella cappella, si conserva l’urna, assieme a quelle della Beata Serafina Sforza e del Beato Cecco Zanfredini compatroni di Pesaro e, dal 1985, le tombe degli ultimi vescovi dell’Arcidiocesi (fig. 6). L’abside, il cui catino fu affrescato dal pittore Giuseppe Gonnella nel 1902 con una Assunzione della Vergine e Apostoli, è illuminata da 5 vetrate policrome raffiguranti i Santi e i Beati pesaresi, opera del pesarese Alessandro Gallucci (Pesaro 1897-1980): da sinistra la Beata Serafina Sforza, San Decenzio, San Terenzio, Sant’Eracliano e la Beata Felice Meda (fig. 7). A sinistra del presbiterio, nel vano di passaggio in sacrestia, è collocato a parete un affresco staccato di altissima qualità in alcune sue parti e risalente all’ultimo scorcio del ‘400, che raffigura la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Girolamo e in alto, il Cristo morto tra due Angeli (fig. 8). L’opera restaurata nel 2000 è di notevole interesse poiché assegnabile ad una bottega urbinate attiva nell’orbita di Giovanni Santi, padre di Raffaello, nella quale potrebbe aver lavorato anche quest’ultimo in giovane età. Nel transetto, a sinistra, è posta una tela del 1613 raffigurante il Crocifisso con Sant’Agata, il Beato Cecco e la Beata Michelina, dipinta dal noto pittore Giovan Giacomo Pandolfi di Pesaro (1567-post 1636). Al centro della navata, proprio di fronte alla Cappella del patrono, si apre la Cappella del SS. Sacramento, terminata nel 1942, recentemente abbellita dalla presenza di due splendidi angeli marmorei tardoseicenteschi, provenienti probabilmente dal perduto battistero, recanti in mano simboli iconografici di questo sacramento: il panno e la tazza per l’acqua (fig. 9). Nell’ultimo altare della navata sinistra, seguendo il giro antiorario, è invece una tela del pesarese Camillo Scacciani detto il Carbone (Pesaro inizio XVIII sec.-?) raffigurante il teatino Sant’Andrea di Avellino morente. Sopra la bussola d’ingresso, in alto, si può vedere un maestoso dipinto settecentesco di Marco Benefial (Roma 1684-1764), pittore romano attivo nelle Marche, con l’Assunzione della Vergine e i SS. Terenzio e Mustiola, opera che un tempo decorava l’altare maggiore della chiesa (fig. 10). Interessanti sono anche l’organo ottocentesco della scuola del Callido, la Via Crucis seicentesca di scuola pesarese e la novecentesca cappella affrescata che ospita il fonte battesimale in marmo rosso di Verona e costituisce assieme ad esso un insieme decorativo di notevole pregio.

(Testo: Ufficio Beni culturali Arcidiocesi di Pesaro | Immagini: Ufficio Beni Culturali/Arcidiocesi di Pesaro)

L’area archeologica

Il complesso episcopale di Pesaro, dedicato alla Vergine e a San Terenzio, sorge nel cuore del centro storico. La basilica si affaccia sull’antico cardo maximus (le attuali via Rossini – via Branca), uno dei principali assi stradali della Pisaurum di epoca romana, in prossimità di una delle quattro porte urbiche dell’antica città. L’aspetto attuale della Cattedrale, in cui si possono leggere i molteplici restauri e rifacimenti intervenuti nei corso dei secoli, riflette una storia millenaria. La facciata in cotto, risalente alla ristrutturazione di epoca medievale (1282-1312), conserva lo schema della basilica romanica, con il rosone, i contrafforti spioventi e gli archetti ogivali che decorano la fascia mediana. Il portale è di stile gotico, lievemente strombato; i leoni posti ai due lati un tempo sorreggevano, probabilmente, le colonne di un pulpito all’interno della chiesa. L’interno si mostra invece nella sua ristrutturazione ottocentesca, in un maturo e lineare stile neoclassico. La quota attuale del piano di calpestio risale al rifacimento dell’edificio, avvenuto nel corso del XIV-XV secolo, quando, dopo avere interrato le strutture più antiche, il pavimento venne innalzato poggiandolo su poderosi pilastri (fig. 11). I resti delle fasi più antiche, testimoniati, in particolare, dagli splendidi pavimenti decorati a mosaico, si trovano ad una quota di circa -1.40/ -2.10 m. dal piano attuale.

Storia delle ricerche

La prima riscoperta dei pavimenti musivi risale agli inizi del XVII secolo. E’ l’erudito Sebastiano Macci a segnalare che nel 1611, durante lo scavo per la realizzazione di una tomba all’interno della Cattedrale, fu rinvenuto un pavimento decorato con molteplici raffigurazioni di incredibile bellezza, rilevando inoltre la presenza di un secondo pavimento a mosaico posto ad una quota più profonda. Nel corso del 1700 fu lo studioso Annibale degli Abbati Olivieri a dare precise e dettagliate notizie del rinvenimento di nuove porzioni delle superfici musive all’interno della chiesa. E’ solo nel 1851 però che, grazie ad alcuni sondaggi di scavo realizzati per accertare lo stato delle fondamenta della Cattedrale, venne appurata con certezza la presenza dei due piani pavimentali, rilevando il primo a -1,70 m. dal piano di calpestio moderno e il secondo ad una quota di 80 cm. più bassa. L’architetto Giovan Battista Carducci, incaricato di ristrutturare l’edificio, portò alla luce larga parte della superficie musiva più recente, documentandola con precisi rilievi, pubblicati poi nel 1866. Già in questa occasione si discusse lungamente della possibilità di rendere fruibili i mosaici; tuttavia nel 1903, al termine dei lavori di consolidamento, i mosaici furono invece rinterrati per permettere la realizzazione del nuovo pavimento. Nel 1990 infine, iniziarono ulteriori indagini nelle porzioni non esplorate dall’architetto Carducci. I lavori furono intrapresi dapprima dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche e poi, con il dovuto metodo di scavo archeologico, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche. Nel corso di queste indagini – tese ad accertare la pertinenza ad un primo edificio di culto del mosaico inferiore e a approfondire la conoscenza archeologica delle fasi più antiche – sono state messe in luce nuove porzioni del mosaico superiore ed è stata indagata l’area posta al di sotto del moderno sagrato. Da allora, si è lungamente discusso delle possibili modalità per rendere fruibili i due pavimenti musivi, rispettando sia la vita liturgica della Cattedrale sia le strutture archeologiche rinvenute nel tempo. Alcune porzioni della superficie musiva sono oggi visibili attraverso degli ampi “finestroni” praticati nel pavimento del XIX secolo; è inoltre possibile visitare l’area archeologia posta in corrispondenza della navata di destra e del sagrato, attraverso apposito accesso laterale. E’ certo che la lettura complessiva del mosaico superiore – nei suoi molteplici inserti che vanno dal VI al XIII secolo – offrirebbe un’eccezionale e unica testimonianza delle diverse espressioni figurative stratificatesi nel corso di otto secoli storia, seguendo il mutare dei riferimenti culturali e ideologici, dal mondo bizantino fino all’Europa medievale.

Le fasi tardo-antiche e medievali (- 1.60 metri dal pavimento ottocentesco)

Al di sotto del rialzamento volontario del piano di calpestio, che ha portato la Cattedrale al livello moderno, si trovano i resti delle fasi che vanno dal VI secolo d.C. alla fine del XV secolo (fig. 12). Come ha mostrato lo scavo archeologico, tale rialzamento è stato ottenuto riportando materiale “di scarto” eterogeneo; il reperto più recente rinvenuto in questo accumulo si data al tardo Quattrocento e si accompagna a diversi frammenti di maiolica arcaica. Il rifacimento del complesso episcopale potrebbe essere quindi conseguente alla campagna militare di Cesare Borgia, avvenuta nel 1503, nel corso della quale vennero particolarmente danneggiati il campanile e l’abside del complesso episcopale. Eccezionale testimonianza di questo complesso pluristratificato è il grandioso piano pavimentale decorato a mosaici policromi, esteso per oltre 800 mq. a ricoprire l’intera superficie della chiesa. L’impianto originale è databile ai primi anni della seconda metà del VI secolo d.C., sulla base di tre iscrizioni dedicatorie che celebrano l’intervento costruttivo di “iohannis”, definito “vir gloriosus magister militum”. A Giovanni si attribuisce la ricostruzione “a fundamentis” della Cattedrale; la frase non è da intendersi in senso letterale, poiché in realtà si trattò piuttosto della ricostruzione dell’edificio, per quanto sostanziale, su un impianto precedente, verosimilmente paleocristiano. La ricostruzione va inquadrata all’interno di quel processo di ricostruzione determinatosi in seguito agli sconvolgimenti provocati dalla guerra goto-bizantina, combattuta tra il 535 e il 553, con esiti devastanti dal punto di vista demografico e urbano, sia per i centri abitati sia per l’economia delle campagne. A Pesaro – riporta lo storico Procopio di Cesarea – i Goti di Vitige distrussero le mura cittadine fino a metà della loro altezza, e appiccarono un disastroso incendio. Tracce di questo incendio sono state rinvenute nel deposito – spesso mediamente 70 cm. – che copre il piano pavimentale inferiore, anch’esso decorato a mosaici. I materiali rinvenuti nell’interro, pur se non particolarmente significativi dal punto di vista cronologico, appaiono assolutamente compatibili con la datazione al VI sec. d.C. Nel corso dei secoli il pavimento fu poi sottoposto a parziali rifacimenti, particolarmente intensi soprattutto tra l’XI e XIII secolo. Si vennero quindi ad inserire tra i moduli geometrici della prima stesura di VI secolo dal raffinato linguaggio geometrico e simbolico della tradizione bizantina (pavoni, pesci, aquile, croci uncinate, nodi salomonici), nuovi modelli figurativi con immagini tratte da compendi come i Bestiari e il Liber Monstruorum (lamie, sirena bicaudata, centauri, grifone), o ispirati dai testi letterari che circolavano nell’Europa medievale, anche a testimonianza del rinnovato interesse verso temi e storie dell’antichità classica. Convivono così su questo piano pavimentale più vocabolari espressivi, ognuno dei quali utilizza ed esprime i riferimenti culturali e simbolici della propria epoca, dalla tradizione dell’ambito adriatico (Venezia, Otranto, Brindisi) verso collegamenti ultramontani, bretoni e francesi. Si tratta di una sintesi preziosa ed emblematica che dimostra la stratificazione della storia religiosa e sociale dal VI al XIII secolo.

L’iscrizione dedicatoria

La principale iscrizione dedicatoria è posta quasi all’ingresso della basilica,  sull’asse della navata centrale. Iscritta in un clipeo (uno scudo), la dedica recita: “Con l’aiuto di Dio e con l’intercessione della Beata Vergine Maria, Giovanni, uomo illustre, stratega di rango consolare, originario della provincia della Misia, ha fatto costruire dalle fondamenta questa basilica, con ogni devozione”. Il dedicante è stato identificato con il generale, nipote di Vitaliano, detto il Sanguinario, e sposato con la nipote dell’imperatore Giustiniano, che combatté per l’imperatore d’Oriente durante la guerra Greco-Gotica (535-553), a fianco prima di Belisario e poi di Narsete. E’ oggi  possibile leggere l’iscrizione attraverso uno degli ampi finestroni realizzati nel piano pavimentale (fig. 13).

Epoca tardo-antica

I mosaici di VI secolo mostrano una composizione geometrica ripetitiva, rivelando un piano progettuale unitario, secondo rapporti proporzionali ben identificati. L’impianto del mosaico nelle sue molteplici accezioni decorative, varia in base alla destinazione d’uso in relazione al significato spaziale dei vari ambienti a cui era destinato. All’interno di venti pannelli quadrati o rettangolari, spesso delimitati da fregi geometrici o floreali, sono raffigurati animali dal valore teologico e metafisico, come le colombe, i cervi e il pavone, e riferimenti cristologici come i pesci o il grappolo d’uva, simbolo del vino eucaristico e del sangue di Cristo. La particolare stilizzazione di alcuni degli animali raffigurati nei mosaici di VI secolo d.C –  rappresentati con al collo un “pativ”, un nastrino svolazzante, simbolo persiano di potere terreno e di regalità – richiama un’iconografia propria del mondo orientale e dimostra come le maestranze impegnate nella realizzazione dei mosaici della chiesa di Pesaro fossero perfettamente inseriti in una koinè culturale e artistica espressiva diffusa nel bacino mediterraneo. E’ anche possibile che il committente, Ihoannis (…) provinciae Mysiae natus, si fosse servito di artigiani provenienti dalla sua terra di origine, il cui capoluogo, Pergamo, era rinomato proprio per l’arte del mosaico.

Medioevo

Tra il XII e il XIII secolo, in particolare, furono realizzati ampi interventi di rifacimento del tessuto musivo, con l’inserto di nuove raffigurazioni. Osserviamo comparire nei mosaici le immagini di creature fantastiche o terrificanti, come le Lamie (fig. 14), spiriti notturni malvagi, la Sirena (fig. 15), il Centauro-sagittario, il Tritone (fig. 16). Queste nuove figure – scelte perché avessero un contenuto “esemplare” – venivano ispirate dalle Enciclopedie, dai Bestiari, dai Romanzi che allora circolavano in Europa. Alcune iscrizioni poste vicino a questi rifacimenti ricordano i nomi dei benefattori (“Asolinus”, “Marota” e altri) che ne offrirono la messa in opera. Una delle raffigurazioni più complesse, visibile parzialmente attraverso un finestrone posto in prossimità della navata sinistra, ricorda episodi della guerra di Troia, il cui mito, rinnovato da poemi epici francesi, conobbe una nuova diffusione nell’Europa medievale del XII-XIII secolo, con la “migrazione” del tema anche nelle arti figurative. Sopra una nave biremi, che innalza a prua una bandiera con un’aquila, trovano posto diversi guerrieri e alcune dame. Si tratta o del ratto di Elena o del suo ritorno a seguito della distruzione di Troia, come chiarisce la dicitura in alto a sinistra (“PARIS REX TROI(A)E MENELAU(M) PRIVAT HELENA / P(ER) Q(UAM) TROIA PERIT (GRAE)CIA L(A)ETA REDIT”). La grande scacchiera che compare a destra, attorniata da due guerrieri è un probabile riferimento a un altro episodio del ciclo troiano (durante l’assedio di Troia Ulisse e Palamede giocano a scacchi) e attesta  la diffusione che questo gioco conobbe tra XI e XII secolo anche in Europa (fig. 17).

Epoca paleocristiana (- 2.10 m. dal pavimento ottocentesco)

A 2,10 m. dal piano di calpestio del XIX sec. è collocato un primo pavimento musivo pertinente ad un edificio sacro paleocristiano. Di questo piano musivo sono stati messi in luce solamente alcune breve porzioni, all’interno di alcuni saggi, di estensione limitata, effettuati nelle tre navate. Il maggiore di essi, condotto perpendicolarmente alla navata centrale, ha confermato la perfetta corrispondenza della partizione in fasce dello schema del mosaico inferiore a quella del mosaico superiore, confermando la sovrapposizione dei due edifici. I mosaici delle fasce laterali e della navata centrale mostrano motivi differenti, sia per quanto riguarda le cornici sia per quanto riguarda gli elementi riempitivi. Sono emerse raffigurazioni realizzate con tessere policrome sia a motivi geometrico-floreale, anche molto complessi, sia con simboli cristiani come pesci, colombe e “nodi di Salomone”. Nella navata destra un’iscrizione, “Rufinus et (Ia)nuaria”, ricorda il nome di due benefattori che contribuirono alla edificazione o alla decorazione dell’edificio (fig. 18). L’iscrizione, tipica degli edifici di culto paleocristiani, soprattutto di una certa rilevanza, è un’ulteriore elemento che consente di ipotizzare che, già in questa fase, la chiesa avesse un ruolo preminente. La  consunzione della superficie musiva testimonia la lunga permanenza di un uso di questo piano pavimentale; tranne che per alcune limitate lacune, le condizioni di conservazione sono comunque buone. E’ possibile osservarne una parte percorrendo la navata di destra nell’area archeologica sottostante alla Cattedrale. L’indagine archeologica del terreno posto tra le due superfici musive ha restituito dati particolarmente interessanti: a contatto con il pavimento inferiore, sono state rinvenute tracce di bruciato, mentre il livello di riempimento è costituito da strati rimescolati di macerie, argilla concotta e altro materiale di scarto. In questi strati, che sembrano potersi considerare contemporanei confermando l’ipotesi di un livello di colmata intenzionale, sono stati rinvenuti frammenti di vasi di ceramica e di vetro, databili alla metà del VI secolo d.C. o ad un momento leggermente posteriore.

L’area del sagrato

Lo scavo archeologico condotto tra il 2004 e il 2005 in corrispondenza del sagrato della Cattedrale, ha permesso di accertare che la basilica paleocristiana si estendeva anche in quest’area. In questa prima fase l’edificio era presumibilmente preceduto da un quadriportico, probabilmente con cortile centrale aperto, anch’esso ornato da una pavimentazione a mosaico policromo, con decorazioni geometrico-astratte e floreali (fig. 19). Tre ingressi conducevano dal cardo maximus (l’attuale via Rossini) alla chiesa. Successivamente, per compensare l’innalzamento del livello della strada, in corrispondenza di questi tre varchi originari furono poste tre scalinate, realizzate con materiale di spoglio (fig. 20). Con la ricostruzione dell’edificio sacro, avvenuta nella seconda metà del VI secolo d.C. dopo la guerra greco-gotica, l’area fu definitivamente interrata. Essa venne a lungo utilizzata come zona cimiteriale, come mostrano diversi livelli di sepolture, tutte prive di corredo, deposte sia in semplice fossa terragna sia entro cassoni di muratura. All’interno dell’area archeologica è possibile osservare alcune deposizioni particolarmente profonde, scavate fino a raggiungere il banco argilloso sterile, tagliando il piano musivo più antico.

Il battistero

Nel 1776, durante degli scavi effettuati nella sacrestia del Duomo, furono portati in luce i resti di un edificio che Annibale dell’Abbate Olivieri riconobbe come pertinenti all’antico Battistero, andato distrutto in un momento imprecisato, posteriore al 1197 (anno in cui compare ancora citato in una bolla di Celestino III). Sulla base di queste evidenze, l’Olivieri descrive un battistero a pianta ottagonale, suddiviso da nove pilastrini in un ambulacro laterale e in un vano circolare, al cui interno era posto il fonte battesimale, costituito da una vasca esagonale. Negli anni ’90 verifiche archeologiche eseguite dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici hanno messo in luce il piano di calce pietre e laterizi posto verosimilmente alla base della vasca battesimale esagonale. E’ stata inoltre verificata la presenza di un ambiente di servizio semicircolare, ritenuto negli studi del ‘700 il battistero femminile. In prossimità del battistero sono stati infine  individuati una soglia e alcuni gradini che formavano probabilmente l’accesso all’edificio durante la prima fase del complesso ecclesiale (fig. 21).

Tracce del passato: l’antico nel mosaico inferiore

L’area archeologica del livello più antico è caratterizzata dalla presenza di materiali di spoglio, appartenenti ad edifici precedenti al IV-V sec.; basi di colonna, rocchi scanalati, capitelli riutilizzati, frammenti architettonici provenienti da una cornice ad angolo. Questi materiali si inseriscono all’interno del fenomeno conosciuto come “reimpiego dell’antico”, inteso come pratica del riuso di una porzione architettonica proveniente da un altro contesto funzionale e temporale, all’interno di un nuovo edificio. Tra questi ritrovamenti si mostra di particolare interesse una lastra in marmo cristallino risalente al I sec. d. C. (fig. 22 e 23) con una decorazione a rilievo abbassato caratterizzata da foglie d’acanto e due delfini al centro collegati da una cintura dalla quale nasce un tridente. L’elemento, introdotta nel piano pavimentale come risarcimento di una lacuna nel mosaico dovuta ad usura da calpestio, era inserito  nel livello inferiore, in corrispondenza della parte iniziale della navata destra.

(Testi: Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici Arcidiocesi di Pesaro/Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche | Immagini: Ufficio Beni Culturali/Arcidiocesi di Pesaro)