Il culto dei morti – ha ricordato l’arcivescovo Sandro Salvucci durante le celebrazioni per la Solennità dei Santi e la Commemorazione dei defunti, svoltesi nella riaperta Chiesa di San Decenzio alla presenza delle autorità civili e militari – precede di millenni il cristianesimo, avendo avuto origine all’alba delle civiltà, quando, come scriveva il Foscolo, “le umane belve” cominciarono ad “esser pietose di se stesse e d’altrui”: quando cioè gli uomini primitivi, unici tra tutti gli esseri viventi, iniziarono a seppellire i defunti, a considerare degne di “pietas”, di rispetto, di venerazione, di memoria anche le povere spoglie mortali dei propri simili.
E’ affascinante scoprire come, già nella preistoria, gli uomini esprimessero, attraverso le modalità stesse della sepoltura, l’attesa di una realtà oltre i confini della morte, la speranza di una nuova nascita. Come se intuissero, già da allora – data la posizione fetale in cui sistemavano i cadaveri – una misteriosa analogia tra la nascita e la morte: due passaggi similmente dolorosi da una condizione di oscurità a una di luce.
L’esigenza di superare la finitudine della vita appartiene a quel “senso religioso naturale” che accomuna gli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Accomuna anche i moderni, pur condizionati da una cultura impregnata di razionalismo e scientismo. Accomuna anche coloro che, pur non credendo in una vita ultraterrena, non possono fare a meno di desiderare che i loro cari sopravvivano, almeno nel ricordo, il più a lungo possibile.
Così come tutti desiderano che continui a vivere la memoria di quei giovani che, coinvolti in guerre certamente da loro non volute e non scelte, sono caduti per difendere la libertà, la democrazia, la pace: beni estremamente fragili, ma di cui oggi tanti popoli usufruiscono.
Rispetto a questo “senso religioso” universale, quale novità ha portato Gesù?
Ha portato l’avvenimento della sua morte e della sua resurrezione. Quella “luce” oltre la vita, desiderata profondamente da tutti, ma inaccessibile alla ragione, ha voluto farsi conoscere: ha assunto la condizione umana, fino ad entrare nella morte più ignominiosa e più innocente, per illuminarla e dare certezza a tutta l’attesa dell’umanità.
Con la morte la vita non si conclude, ma si compie – ha detto l’arcivescovo. Secondo quanto ha affermato e testimoniato Gesù, Dio desidera che tutti siano salvi e valorizza ogni briciola di bene che ognuno compie e custodisce in sé.
Pertanto, in questi giorni così solenni, che ci mettono davanti al nostro destino e al mistero della nostra vita, vanno affidati a Dio tutti i defunti, anche quelli che hanno condotto un’esistenza disordinata, anche i caduti che hanno combattuto per una causa “sbagliata”. Perché anche la loro morte ha prodotto una perdita, un vuoto, un dolore per tante madri, tanti familiari e amici. Perché tutte le morti hanno una dignità e meritano rispetto.
Pesaro 4 novembre 2023 Paola Campanini
Dal 2 al 9 Novembre Ottavario dei Defunti
ore 15.00 Rosario
ore 15.30 Santa Messa