Pesaro 8 ottobre 2023
Certamente, senza don Gaudiano, Pesaro sarebbe diversa. L’azione profetica di questo sacerdote, morto trent’anni fa, la sua sensibilità e il suo carisma hanno portato al centro dell’attenzione cittadina le persone più fragili ed emarginate; per loro sono nate opere di solidarietà e di cura che hanno caratterizzato il tessuto sociale della nostra comunità e ancora oggi lo caratterizzano: direttamente, attraverso l’impegno di chi ne ha raccolto l’eredità; indirettamente, attraverso la rete di servizi che l’amministrazione comunale ha dovuto approntare per sostenerle.
Lo hanno sottolineato sia il Vescovo Salvucci sia il Sindaco Ricci nel porgere il loro saluto al folto pubblico, tra cui anche il prefetto e numerose autorità, che domenica 8 ottobre si è riunito al Teatro Rossini per partecipare all’incontro sul tema “Testimoni di pace”, promosso dalla Fondazione don Gaudiano e dal Ceis. Ospite dell’iniziativa un relatore illustre, il Presidente della CEI Matteo Zuppi, invitato “insistentemente” – dati i suoi molteplici impegni – dal prof. Ivano Dionigi, a lui legato da frequentazione assidua e da un rapporto personale di amicizia e affetto.
Fare memoria di don Gaudiano, ha precisato il Cardinale, non significa rispolverare un ricordo nostalgico del passato, ma tenere viva la fiamma della sua testimonianza nel presente. Un presente in cui le nuove spirali di violenza e di guerra nel mondo stridono con il richiamo alla solidarietà e in cui anche la nostra cattiveria quotidiana rischia di spegnerla.
Non siamo migliorati, ha affermato Zuppi, da quando i Latini affermavano: “Si vis pacem, para bellum”. E’ logico perciò porsi la domanda: ma possiamo migliorare? O forse dobbiamo ammettere, al di là delle buone intenzioni, che bisogna continuare a preparare la guerra? E la “manutenzione” della pace che, almeno in Europa, è stata garantita per tanti anni, grazie a chi è morto per ottenerla e a chi l’ha costruita, è un problema delle diplomazie, dei poteri politici ed economici, dei giornali o coinvolge ognuno di noi?
La vita di don Gaudiano è una risposta a queste domande: ognuno può essere “artigiano” di pace e di solidarietà, esattamente lì dove si trova, nel luogo, nel tempo, nelle condizioni in cui si trova.
Ma occorre fare un’importante precisazione: per essere artigiani di pace, occorre speranza e la speranza ha bisogno di una “fonte”, di una “cultura” che la sappia motivare, fondare, giustificare.
Don Gaudiano è stato un testimone anche in questo, perché ha unito solidarietà e cultura, evitando i rischi del buonismo, della demagogia, della pura operatività.
Occorre una cultura da intendersi non in senso intellettualistico, ma come ricerca di senso. Vale a dire: al di là di tutte le differenze e le polarizzazioni a cui siamo abituati (sano-malato, normale-anormale, pacifista e non, progressista e tradizionalista ecc.) la persona ha un valore in sé? Su che cosa si fonda questo valore? Qual è la sua dignità? Domande concrete, perché aprono questioni etiche, come quella della “fraternità” e danno una prospettiva alla nostra vita.
Occorre rimettere al centro l’umanesimo, profondamente connaturato nella tradizione del nostro paese, le cui radici classiche, cristiane e illuministiche sono strettamente intrecciate tra loro. Un umanesimo secondo cui l’io ritrova la sua dignità non nell’affermazione individualistica di sé e neppure, al contrario, nel sacrificare sé alla collettività, ma nella relazione fraterna con il reale. In quel reale dove don Gaudiano ha incontrato il Dio che si fa carne nella storia e in ogni persona.
Paola Campanini