Un intervento caratterizzato da paradossi, da affermazioni non omologate all’opinione corrente e proprio per questo stimolanti, capaci di capovolgere quei luoghi comuni in cui spesso la nostra ragione si adagia.
E’ stata questa l’impressione condivisa dai tanti ascoltatori che mercoledì 26 aprile si sono ritrovati a Palazzo Antaldi per incontrare Adrien Candiard, giovane priore domenicano di origine parigina, residente da undici anni al Cairo. Un incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per il dialogo interreligioso e fermamente voluto dal nostro arcivescovo Sandro, che lo ha invitato sia a raccontare la sua esperienza di cristiano in un paese musulmano sia ad approfondire il tema del dialogo tra le religioni e del suo ruolo per il futuro dell’Europa.
Sollecitato dalle domande del direttore Paolo Barbadoro, il relatore ha risposto con freschezza e franchezza, riferendosi spesso ai numerosi libri da lui pubblicati.
La vulgata dominante ci dice che, per dialogare in modo fecondo con gli altri e favorire un clima di pace, occorre temperare le differenze e accordarsi su ciò che unisce, che rende simili. Anche nel dialogo interreligioso domina la preoccupazione di trovare punti condivisi, quasi a voler dimostrare che, in fondo, siamo tutti uguali e che tutte le religioni vogliono la stessa cosa.
Questa impostazione – ha detto invece Candiard – non ci permette di incontrare veramente l’altro, perché non ce lo fa conoscere nella sua diversità. Non essere d’accordo non costituisce un problema, anzi è uno stimolo per iniziare una vera avventura intellettuale domandandosi: “In che cosa l’altro è diverso da me, perché è diverso?”. E’ questo che apre la mente a un vero confronto e rende il dialogo interessante. “Si dialoga soltanto attraverso le differenze”, come affermava il vescovo domenicano Pierre Claverie,
Questo chiama in causa la questione della verità e ribalta un’altra convinzione comune: che essa sia nemica di una convivenza fraterna e che il dialogo debba fondarsi solo sulla rinuncia alle reciproche verità. Invece – ha precisato padre Adrien – la certezza che la verità esiste e la volontà di cercarla insieme sono rispettivamente la condizione e lo scopo del dialogo. Non si deve fare proselitismo o convincere a tutti i costi, ma neppure si devono temere lo scontro e il conflitto (purché solo verbali).
Per questo è importante anche un’altra questione: il dialogo interreligioso deve essere non astratto (confronto tra cristianesimo, islamismo, buddismo ecc.), ma personale (tra cristiani, musulmani, buddisti) e perciò ha bisogno di amicizia, fiducia, rispetto reciproco tra gli interlocutori.
Quale speranza per il futuro? Non certamente la speranza dell’”andrà tutto bene”, fondata solo su un ottimistico autoconvincimento, ma una speranza che non sottovaluti l’esistenza del male e il suo drammatico potere. E’ questa la natura della speranza cristiana, che non è generata dalla fede nel “progresso” e nelle capacità umane di realizzarlo, ma si fonda, senza censurare la croce, sulla “buona novella” che nella croce siamo amati: una verità difficile da accettare per la nostra libertà, eppure l’unica che ci permette di considerare i drammi della storia come “doglie di un parto”.
Parlando della sua esperienza al Cairo, Candiard ha esemplificato e resa viva la sua preziosa riflessione. Il convento in cui vive, situato nel cuore di un paese prevalentemente musulmano, è diventato un centro di studi dell’islam, noto per la sua biblioteca aperta al pubblico, che rende accessibili le fonti islamiche ai ricercatori di tutto il mondo.
La presenza dei domenicani è una tangibile testimonianza di come identità diverse possano convivere nel reciproco rispetto.
Un esempio molto utile in questo periodo di grandi ostilità fra cristiani e musulmani in tanti paesi, dove, ha concluso il relatore, “abbassare la tensione è assolutamente indispensabile non solo come via della pace, ma anche come occasione per far conoscere Gesù Cristo”.
Pesaro 28 aprile 2023 Paola Campanini