Pesaro 26 settembre 2022
CONVEGNO DIOCESANO “DI UNA SOLA COSA C’E’ BISOGNO”
Marta e Maria incontrano Gesù nella loro casa di Betania: è l’icona scelta dalla Chiesa italiana per il secondo anno del cammino sinodale ed è anche l’icona con cui mons. Sandro Salvucci ha voluto dare inizio all’anno pastorale, all’interno del tradizionale Convegno diocesano svoltosi il 26 settembre all’Hotel Baia Flaminia, gremito per l’occasione di fedeli.
Un’idea, come l’arcivescovo stesso ha tenuto a precisare, natagli il 17 luglio scorso, proprio mentre si trovava pellegrino a Betania.
Ma qual è il fascino straordinario di queste due protagoniste del brano evangelico di Luca?
E’ il fatto che esse rappresentano non solo due temperamenti, due psicologie, due sensibilità diverse, ma anche e soprattutto due consapevolezze diverse, due posizioni umane di fronte alla realtà che si riflettono in tutti noi.
Certamente le due sorelle hanno un temperamento opposto (come spesso accade tra sorelle), che si rivela dal modo con cui accolgono il loro ospite.
Marta è una donna dal senso pratico, è distolta da Gesù a causa dei molti servizi che il suo arrivo comporta, è ansiosa di fare bella figura, vuole dominare la situazione con il suo agire. E si lamenta perché nessuno l’aiuta.
Maria invece è attratta dalla persona di Gesù, dà la priorità al rapporto con Lui e perciò Lo ascolta attentamente, sedendo ai suoi piedi. Maria è consapevole di quanto siano vere le parole che Egli pronuncia e che risuonano non solo come un rimprovero verso Marta, ma anche come un richiamo pieno di affetto affinché lei si converta: “Di una sola cosa c’è bisogno”.
E’ una provocazione che Gesù lancia a tutti gli uomini.
Perché Marta rappresenta tutti coloro, credenti e non credenti, che ripongono la speranza – per un mondo migliore, una società più giusta, una Chiesa più autentica – nel proprio “fare”, nel proprio impegno generoso, nell’osservanza scrupolosa della legge, nella propria “moralità”.
A tutti costoro invece Gesù ricorda: “Di una sola cosa c’è bisogno”.
Vuol dire con questo che il fare non ha valore e non deve essere apprezzato? No.
Vuole richiamare piuttosto a una conversione della coscienza: in tutto il fare, in tutto l’impegno dell’uomo, c’è un limite, un’impotenza strutturale. “Si possono fare tante cose per l’altro e non bastano mai”, ha sottolineato l’arcivescovo Sandro. Il fare non “salva” l’uomo, cioè non riesce a rispondere alle tante esigenze del mondo e della Chiesa e non riesce perciò a placare l’insoddisfazione del cuore, che vorrebbe tutto per essere felice.
La salvezza può venire solo da Qualcuno che ami questa impotenza, la redima e le prometta un valore assoluto ed eterno. Come scrive san Paolo, la salvezza non viene dalle opere, ma dalla grazia. E noi sappiamo che questa grazia ci è stata donata ed è “l’amore gratuito di Dio che si è manifestato mediante Cristo morto e risorto”.
L’amore di Cristo ci possiede. E’ Cristo che dobbiamo ascoltare e pregare, personalmente e comunitariamente. Perché è Lui che può trasformare la nostra fragilità e renderci persone nuove. E può liberare i cristiani, come dice il Papa (E.G.) da quella “mondanità spirituale che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”.
Paola Campanini