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PADRE TIBONI: UNA VITA PER LA MISSIONE – Sabato 25 giugno ore 21.00 – Vivai Pascucci

Pesaro 24 giugno

PADRE TIBONI: UNA VITA PER LA MISSIONE

Incontri che hanno segnato la vita di molti. Una fitta trama di rapporti da cui sono fioriti eventi di grazia, conversioni, opere. Tante le testimonianze su padre Tiboni raccolte nel libro a lui intitolato, presentato – sabato 24 giugno presso i Vivai Pascucci – dall’autore Filippo Ciantia: un medico milanese vissuto dal 1980 al 2009 in Uganda, dove ha lavorato per AVSI. Promotori dell’iniziativa: il Centro culturale “Città ideale” e l’Ufficio Missionario diocesano.

Ciantia ha risposto ad alcune domande.

Perché un libro su padre Tiboni?

Considero questo libro un gesto di gratitudine e di amicizia nei suoi confronti. Dopo la sua morte, nel 2017, mi venne subito il desiderio che un giornalista scrivesse qualcosa per ricordarlo, poi ho deciso di farlo io personalmente.

Chi era padre Tiboni?

Era un comboniano, mandato in missione dapprima in Sud Sudan (da dove però, nel 1964, fu espulso con altri missionari) e poi in Uganda, dove rimase fino alla morte, benché con alcuni periodi di forzato ritorno in Italia (1975-1980) dovuto alle espulsioni ordinate dal feroce dittatore Amin.

Un avvenimento significativo per lui fu l’incontro con don Giussani e il Movimento di CL. In quali circostanze accadde?

Agli inizi degli anni ’70, a Kitgum, Tiboni incontrò un piccolo gruppo di medici e insegnanti di CL, trasferitisi dall’Italia, dai quali fu molto colpito perché mettevano Cristo al centro di tutto e vivevano tra loro una comunione quotidiana. Questo incontro, insieme a quello successivo con don Giussani, diede a padre Pietro la certezza che la sua appartenenza ai Missionari Comboniani avrebbe trovato nel carisma di quell’esperienza nuova energia e impulso. E infatti accadde l’imprevedibile: nella situazione di violenza, corruzione e miseria degli anni di Amin, improvvisamente, senza apparenti ragioni, decine di persone aderirono all’annuncio di Cristo come vero liberatore e fiorirono vocazioni di ogni tipo.

Perché don Giussani definì padre Tiboni “uno dei più santi uomini che abbiamo”, sottotitolo del suo libro?

Innanzitutto, per la sua passione per Comboni e per l’Africa. Al suo professore di teologia Cornelio Fabro – il quale, per convincerlo a rimanere a Roma, gli aveva ricordato la risposta del papa a Filippo Neri, desideroso di andare in India (“la tua India è Roma”) – ribatté: “La mia Roma è l’Africa”.

Colpiva poi, oltre alla sua umiltà, carità e disponibilità verso tutti, la straordinaria modernità con cui concepiva la formazione sacerdotale: fortemente radicata in un ambiente pastorale attivo e plurale, come una parrocchia. Egli, infatti, fondò un Seminario accanto alla chiesa parrocchiale di Kitgum, imprimendogli una particolare polarizzazione per la pastorale e la vita comunitaria.

Ma c’è tanto altro. Negli anni della sua permanenza a Roma, mentre era Assistente Generale dei Comboniani, svolse il ministero di assistenza pastorale dei giovani che prestavano il servizio militare di leva appartenenti a CL e ad altre realtà ecclesiali. Molti di quei giovani gli sono rimasti legati da affetto e gratitudine profonda.

Dopo il racconto di Ciantia, sono intervenuti due di questi ex militari incontrati da padre Tiboni, Giorgio Maniscalco e Orazio Pascucci, i quali hanno dato la loro testimonianza, seguita da quella di Silvio Cattarina, chierichetto conterraneo di padre Tiboni, e dell’insegnante Simonetta Leonardi. La serata si è conclusa con il collegamento dall’Uganda di Marco e Francesca Ponselé, che da tre anni vivono con la loro bambina a Kampala per AVSI.

Che cosa c’è di diverso, è stato chiesto loro, tra essere missionari in Africa ed esserlo in Italia? E’ la stessa cosa, hanno risposto. Di diverso però c’è che il contesto di povertà, di squilibrio rispetto all’occidente, di ingiustizie, non permette mai di distrarsi dalla domanda su “che senso abbia il tutto”.

Paola Campanini