Piazza Collenuccio, 15 – 61121 Pesaro
Telefono: 0721 33113 – Fax:0721 378061
e-mail: cattedralepesaro@gmail.com
Consacrata: 1903
Festa del titolare: 15 Agosto
Persone n.: 2060
Parroco: Sac. Stefano Brizi
Vicario: Sac. Roberto Sarti | Sac. Valerio Rastelletti
Aiuto Pastorale: Sac. Giovanni Paolini
Diacono: Mauro Milardi
Santa Maria Assunta - Basilica Cattedrale
L’area archeologica
Il complesso episcopale di Pesaro, dedicato alla Vergine e a San Terenzio, sorge nel cuore del centro storico. La basilica si affaccia sull’antico cardo maximus (le attuali via Rossini – via Branca), uno dei principali assi stradali della Pisaurum di epoca romana, in prossimità di una delle quattro porte urbiche dell’antica città. L’aspetto attuale della Cattedrale, in cui si possono leggere i molteplici restauri e rifacimenti intervenuti nei corso dei secoli, riflette una storia millenaria. La facciata in cotto, risalente alla ristrutturazione di epoca medievale (1282-1312), conserva lo schema della basilica romanica, con il rosone, i contrafforti spioventi e gli archetti ogivali che decorano la fascia mediana. Il portale è di stile gotico, lievemente strombato; i leoni posti ai due lati un tempo sorreggevano, probabilmente, le colonne di un pulpito all’interno della chiesa. L’interno si mostra invece nella sua ristrutturazione ottocentesca, in un maturo e lineare stile neoclassico. La quota attuale del piano di calpestio risale al rifacimento dell’edificio, avvenuto nel corso del XIV-XV secolo, quando, dopo avere interrato le strutture più antiche, il pavimento venne innalzato poggiandolo su poderosi pilastri (fig. 11). I resti delle fasi più antiche, testimoniati, in particolare, dagli splendidi pavimenti decorati a mosaico, si trovano ad una quota di circa -1.40/ -2.10 m. dal piano attuale.
Storia delle ricerche
La prima riscoperta dei pavimenti musivi risale agli inizi del XVII secolo. E’ l’erudito Sebastiano Macci a segnalare che nel 1611, durante lo scavo per la realizzazione di una tomba all’interno della Cattedrale, fu rinvenuto un pavimento decorato con molteplici raffigurazioni di incredibile bellezza, rilevando inoltre la presenza di un secondo pavimento a mosaico posto ad una quota più profonda. Nel corso del 1700 fu lo studioso Annibale degli Abbati Olivieri a dare precise e dettagliate notizie del rinvenimento di nuove porzioni delle superfici musive all’interno della chiesa. E’ solo nel 1851 però che, grazie ad alcuni sondaggi di scavo realizzati per accertare lo stato delle fondamenta della Cattedrale, venne appurata con certezza la presenza dei due piani pavimentali, rilevando il primo a -1,70 m. dal piano di calpestio moderno e il secondo ad una quota di 80 cm. più bassa. L’architetto Giovan Battista Carducci, incaricato di ristrutturare l’edificio, portò alla luce larga parte della superficie musiva più recente, documentandola con precisi rilievi, pubblicati poi nel 1866. Già in questa occasione si discusse lungamente della possibilità di rendere fruibili i mosaici; tuttavia nel 1903, al termine dei lavori di consolidamento, i mosaici furono invece rinterrati per permettere la realizzazione del nuovo pavimento. Nel 1990 infine, iniziarono ulteriori indagini nelle porzioni non esplorate dall’architetto Carducci. I lavori furono intrapresi dapprima dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche e poi, con il dovuto metodo di scavo archeologico, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche. Nel corso di queste indagini – tese ad accertare la pertinenza ad un primo edificio di culto del mosaico inferiore e a approfondire la conoscenza archeologica delle fasi più antiche – sono state messe in luce nuove porzioni del mosaico superiore ed è stata indagata l’area posta al di sotto del moderno sagrato. Da allora, si è lungamente discusso delle possibili modalità per rendere fruibili i due pavimenti musivi, rispettando sia la vita liturgica della Cattedrale sia le strutture archeologiche rinvenute nel tempo. Alcune porzioni della superficie musiva sono oggi visibili attraverso degli ampi “finestroni” praticati nel pavimento del XIX secolo; è inoltre possibile visitare l’area archeologia posta in corrispondenza della navata di destra e del sagrato, attraverso apposito accesso laterale. E’ certo che la lettura complessiva del mosaico superiore – nei suoi molteplici inserti che vanno dal VI al XIII secolo – offrirebbe un’eccezionale e unica testimonianza delle diverse espressioni figurative stratificatesi nel corso di otto secoli storia, seguendo il mutare dei riferimenti culturali e ideologici, dal mondo bizantino fino all’Europa medievale.
Le fasi tardo-antiche e medievali (- 1.60 metri dal pavimento ottocentesco)
Al di sotto del rialzamento volontario del piano di calpestio, che ha portato la Cattedrale al livello moderno, si trovano i resti delle fasi che vanno dal VI secolo d.C. alla fine del XV secolo (fig. 12). Come ha mostrato lo scavo archeologico, tale rialzamento è stato ottenuto riportando materiale “di scarto” eterogeneo; il reperto più recente rinvenuto in questo accumulo si data al tardo Quattrocento e si accompagna a diversi frammenti di maiolica arcaica. Il rifacimento del complesso episcopale potrebbe essere quindi conseguente alla campagna militare di Cesare Borgia, avvenuta nel 1503, nel corso della quale vennero particolarmente danneggiati il campanile e l’abside del complesso episcopale. Eccezionale testimonianza di questo complesso pluristratificato è il grandioso piano pavimentale decorato a mosaici policromi, esteso per oltre 800 mq. a ricoprire l’intera superficie della chiesa. L’impianto originale è databile ai primi anni della seconda metà del VI secolo d.C., sulla base di tre iscrizioni dedicatorie che celebrano l’intervento costruttivo di “iohannis”, definito “vir gloriosus magister militum”. A Giovanni si attribuisce la ricostruzione “a fundamentis” della Cattedrale; la frase non è da intendersi in senso letterale, poiché in realtà si trattò piuttosto della ricostruzione dell’edificio, per quanto sostanziale, su un impianto precedente, verosimilmente paleocristiano. La ricostruzione va inquadrata all’interno di quel processo di ricostruzione determinatosi in seguito agli sconvolgimenti provocati dalla guerra goto-bizantina, combattuta tra il 535 e il 553, con esiti devastanti dal punto di vista demografico e urbano, sia per i centri abitati sia per l’economia delle campagne. A Pesaro – riporta lo storico Procopio di Cesarea – i Goti di Vitige distrussero le mura cittadine fino a metà della loro altezza, e appiccarono un disastroso incendio. Tracce di questo incendio sono state rinvenute nel deposito – spesso mediamente 70 cm. – che copre il piano pavimentale inferiore, anch’esso decorato a mosaici. I materiali rinvenuti nell’interro, pur se non particolarmente significativi dal punto di vista cronologico, appaiono assolutamente compatibili con la datazione al VI sec. d.C. Nel corso dei secoli il pavimento fu poi sottoposto a parziali rifacimenti, particolarmente intensi soprattutto tra l’XI e XIII secolo. Si vennero quindi ad inserire tra i moduli geometrici della prima stesura di VI secolo dal raffinato linguaggio geometrico e simbolico della tradizione bizantina (pavoni, pesci, aquile, croci uncinate, nodi salomonici), nuovi modelli figurativi con immagini tratte da compendi come i Bestiari e il Liber Monstruorum (lamie, sirena bicaudata, centauri, grifone), o ispirati dai testi letterari che circolavano nell’Europa medievale, anche a testimonianza del rinnovato interesse verso temi e storie dell’antichità classica. Convivono così su questo piano pavimentale più vocabolari espressivi, ognuno dei quali utilizza ed esprime i riferimenti culturali e simbolici della propria epoca, dalla tradizione dell’ambito adriatico (Venezia, Otranto, Brindisi) verso collegamenti ultramontani, bretoni e francesi. Si tratta di una sintesi preziosa ed emblematica che dimostra la stratificazione della storia religiosa e sociale dal VI al XIII secolo.
L’iscrizione dedicatoria
La principale iscrizione dedicatoria è posta quasi all’ingresso della basilica, sull’asse della navata centrale. Iscritta in un clipeo (uno scudo), la dedica recita: “Con l’aiuto di Dio e con l’intercessione della Beata Vergine Maria, Giovanni, uomo illustre, stratega di rango consolare, originario della provincia della Misia, ha fatto costruire dalle fondamenta questa basilica, con ogni devozione”. Il dedicante è stato identificato con il generale, nipote di Vitaliano, detto il Sanguinario, e sposato con la nipote dell’imperatore Giustiniano, che combatté per l’imperatore d’Oriente durante la guerra Greco-Gotica (535-553), a fianco prima di Belisario e poi di Narsete. E’ oggi possibile leggere l’iscrizione attraverso uno degli ampi finestroni realizzati nel piano pavimentale (fig. 13).
Epoca tardo-antica
I mosaici di VI secolo mostrano una composizione geometrica ripetitiva, rivelando un piano progettuale unitario, secondo rapporti proporzionali ben identificati. L’impianto del mosaico nelle sue molteplici accezioni decorative, varia in base alla destinazione d’uso in relazione al significato spaziale dei vari ambienti a cui era destinato. All’interno di venti pannelli quadrati o rettangolari, spesso delimitati da fregi geometrici o floreali, sono raffigurati animali dal valore teologico e metafisico, come le colombe, i cervi e il pavone, e riferimenti cristologici come i pesci o il grappolo d’uva, simbolo del vino eucaristico e del sangue di Cristo. La particolare stilizzazione di alcuni degli animali raffigurati nei mosaici di VI secolo d.C – rappresentati con al collo un “pativ”, un nastrino svolazzante, simbolo persiano di potere terreno e di regalità – richiama un’iconografia propria del mondo orientale e dimostra come le maestranze impegnate nella realizzazione dei mosaici della chiesa di Pesaro fossero perfettamente inseriti in una koinè culturale e artistica espressiva diffusa nel bacino mediterraneo. E’ anche possibile che il committente, Ihoannis (…) provinciae Mysiae natus, si fosse servito di artigiani provenienti dalla sua terra di origine, il cui capoluogo, Pergamo, era rinomato proprio per l’arte del mosaico.
Medioevo
Tra il XII e il XIII secolo, in particolare, furono realizzati ampi interventi di rifacimento del tessuto musivo, con l’inserto di nuove raffigurazioni. Osserviamo comparire nei mosaici le immagini di creature fantastiche o terrificanti, come le Lamie (fig. 14), spiriti notturni malvagi, la Sirena (fig. 15), il Centauro-sagittario, il Tritone (fig. 16). Queste nuove figure – scelte perché avessero un contenuto “esemplare” – venivano ispirate dalle Enciclopedie, dai Bestiari, dai Romanzi che allora circolavano in Europa. Alcune iscrizioni poste vicino a questi rifacimenti ricordano i nomi dei benefattori (“Asolinus”, “Marota” e altri) che ne offrirono la messa in opera. Una delle raffigurazioni più complesse, visibile parzialmente attraverso un finestrone posto in prossimità della navata sinistra, ricorda episodi della guerra di Troia, il cui mito, rinnovato da poemi epici francesi, conobbe una nuova diffusione nell’Europa medievale del XII-XIII secolo, con la “migrazione” del tema anche nelle arti figurative. Sopra una nave biremi, che innalza a prua una bandiera con un’aquila, trovano posto diversi guerrieri e alcune dame. Si tratta o del ratto di Elena o del suo ritorno a seguito della distruzione di Troia, come chiarisce la dicitura in alto a sinistra (“PARIS REX TROI(A)E MENELAU(M) PRIVAT HELENA / P(ER) Q(UAM) TROIA PERIT (GRAE)CIA L(A)ETA REDIT”). La grande scacchiera che compare a destra, attorniata da due guerrieri è un probabile riferimento a un altro episodio del ciclo troiano (durante l’assedio di Troia Ulisse e Palamede giocano a scacchi) e attesta la diffusione che questo gioco conobbe tra XI e XII secolo anche in Europa (fig. 17).
Epoca paleocristiana (- 2.10 m. dal pavimento ottocentesco)
A 2,10 m. dal piano di calpestio del XIX sec. è collocato un primo pavimento musivo pertinente ad un edificio sacro paleocristiano. Di questo piano musivo sono stati messi in luce solamente alcune breve porzioni, all’interno di alcuni saggi, di estensione limitata, effettuati nelle tre navate. Il maggiore di essi, condotto perpendicolarmente alla navata centrale, ha confermato la perfetta corrispondenza della partizione in fasce dello schema del mosaico inferiore a quella del mosaico superiore, confermando la sovrapposizione dei due edifici. I mosaici delle fasce laterali e della navata centrale mostrano motivi differenti, sia per quanto riguarda le cornici sia per quanto riguarda gli elementi riempitivi. Sono emerse raffigurazioni realizzate con tessere policrome sia a motivi geometrico-floreale, anche molto complessi, sia con simboli cristiani come pesci, colombe e “nodi di Salomone”. Nella navata destra un’iscrizione, “Rufinus et (Ia)nuaria”, ricorda il nome di due benefattori che contribuirono alla edificazione o alla decorazione dell’edificio (fig. 18). L’iscrizione, tipica degli edifici di culto paleocristiani, soprattutto di una certa rilevanza, è un’ulteriore elemento che consente di ipotizzare che, già in questa fase, la chiesa avesse un ruolo preminente. La consunzione della superficie musiva testimonia la lunga permanenza di un uso di questo piano pavimentale; tranne che per alcune limitate lacune, le condizioni di conservazione sono comunque buone. E’ possibile osservarne una parte percorrendo la navata di destra nell’area archeologica sottostante alla Cattedrale. L’indagine archeologica del terreno posto tra le due superfici musive ha restituito dati particolarmente interessanti: a contatto con il pavimento inferiore, sono state rinvenute tracce di bruciato, mentre il livello di riempimento è costituito da strati rimescolati di macerie, argilla concotta e altro materiale di scarto. In questi strati, che sembrano potersi considerare contemporanei confermando l’ipotesi di un livello di colmata intenzionale, sono stati rinvenuti frammenti di vasi di ceramica e di vetro, databili alla metà del VI secolo d.C. o ad un momento leggermente posteriore.
L’area del sagrato
Lo scavo archeologico condotto tra il 2004 e il 2005 in corrispondenza del sagrato della Cattedrale, ha permesso di accertare che la basilica paleocristiana si estendeva anche in quest’area. In questa prima fase l’edificio era presumibilmente preceduto da un quadriportico, probabilmente con cortile centrale aperto, anch’esso ornato da una pavimentazione a mosaico policromo, con decorazioni geometrico-astratte e floreali (fig. 19). Tre ingressi conducevano dal cardo maximus (l’attuale via Rossini) alla chiesa. Successivamente, per compensare l’innalzamento del livello della strada, in corrispondenza di questi tre varchi originari furono poste tre scalinate, realizzate con materiale di spoglio (fig. 20). Con la ricostruzione dell’edificio sacro, avvenuta nella seconda metà del VI secolo d.C. dopo la guerra greco-gotica, l’area fu definitivamente interrata. Essa venne a lungo utilizzata come zona cimiteriale, come mostrano diversi livelli di sepolture, tutte prive di corredo, deposte sia in semplice fossa terragna sia entro cassoni di muratura. All’interno dell’area archeologica è possibile osservare alcune deposizioni particolarmente profonde, scavate fino a raggiungere il banco argilloso sterile, tagliando il piano musivo più antico.
Il battistero
Nel 1776, durante degli scavi effettuati nella sacrestia del Duomo, furono portati in luce i resti di un edificio che Annibale dell’Abbate Olivieri riconobbe come pertinenti all’antico Battistero, andato distrutto in un momento imprecisato, posteriore al 1197 (anno in cui compare ancora citato in una bolla di Celestino III). Sulla base di queste evidenze, l’Olivieri descrive un battistero a pianta ottagonale, suddiviso da nove pilastrini in un ambulacro laterale e in un vano circolare, al cui interno era posto il fonte battesimale, costituito da una vasca esagonale. Negli anni ’90 verifiche archeologiche eseguite dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici hanno messo in luce il piano di calce pietre e laterizi posto verosimilmente alla base della vasca battesimale esagonale. E’ stata inoltre verificata la presenza di un ambiente di servizio semicircolare, ritenuto negli studi del ‘700 il battistero femminile. In prossimità del battistero sono stati infine individuati una soglia e alcuni gradini che formavano probabilmente l’accesso all’edificio durante la prima fase del complesso ecclesiale (fig. 21).
Tracce del passato: l’antico nel mosaico inferiore
L’area archeologica del livello più antico è caratterizzata dalla presenza di materiali di spoglio, appartenenti ad edifici precedenti al IV-V sec.; basi di colonna, rocchi scanalati, capitelli riutilizzati, frammenti architettonici provenienti da una cornice ad angolo. Questi materiali si inseriscono all’interno del fenomeno conosciuto come “reimpiego dell’antico”, inteso come pratica del riuso di una porzione architettonica proveniente da un altro contesto funzionale e temporale, all’interno di un nuovo edificio. Tra questi ritrovamenti si mostra di particolare interesse una lastra in marmo cristallino risalente al I sec. d. C. (fig. 22 e 23) con una decorazione a rilievo abbassato caratterizzata da foglie d’acanto e due delfini al centro collegati da una cintura dalla quale nasce un tridente. L’elemento, introdotta nel piano pavimentale come risarcimento di una lacuna nel mosaico dovuta ad usura da calpestio, era inserito nel livello inferiore, in corrispondenza della parte iniziale della navata destra.
(Testi: Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici Arcidiocesi di Pesaro/Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche | Immagini: Ufficio Beni Culturali/Arcidiocesi di Pesaro)